Napoli panoramica

Iniziamo il percorso neoclassico e del primo Novecento con un itinerario che ci condurrà nella parte più spettacolare (per quanto riguarda il panorama famoso in tutto il mondo che va dalla via Caracciolo a Mergellina) della città di Napoli.
La piazza del Plebiscito, che già abbiamo trattato nei percorsi precedenti, annovera, tra i monumenti, la Chiesa di S. Francesco di Paola , costruita ad imitazione del Pantheon di Roma, quale ex voto (per aver recuperato il regno) da Ferdinando di Borbone. Il progetto di Pietro Bianchi, del 1817, portato a compimento nel 1846, la inseriva in quello che doveva essere il Foro Murat, delineato dai bracci dell'emiciclo.
La facciata, munita di breve gradinata, si presenta come un tempio pagano con colonne ioniche dell'ordine gigante e con pilastri laterali e timpano triangolare, in cui spiccano le statue di S. Francesco di Paola, S. Ferdinando di Castiglia e, al centro, l'allegoria della Religione.
Al pronao segue il breve vestibolo che ammette nel maestoso interno a pianta centrale con cupola alta 53 metri che richiama il Pantheon; la cupola è decorata con fiori a rilievo in cornici digradanti. Notevole, dietro l'altare maggiore disegnato dal Fuga, S. Francesco di Paola che risuscita un fanciullo del Camuccini. In sagrestia si conservano opere di Giordano, Bonito e De Matteis.
Uscendo dalla Chiesa, prima di proseguire per via Chiaia, andiamo ad ammirare la bellissima Galleria Umberto I (entrando dall'ingresso principale situato di fronte al Teatro S. Carlo).
La Galleria Umberto I fu costruita tra quattro grossi palazzi, con l'intento di bonificare un groviglio di vicoli malfamati tra Via Toledo ed il Teatro S. Carlo. Più elegante ed innovativa rispetto alla Galleria Vittorio Emanuele II di Milano (che era stata innalzata circa vent'anni prima), fu disegnata dall'ingegnere Emanuele Rocco e realizzata tra il 1887 e il 1890 da Antonio Curri e da Ernesto Di Mauro, con decorazioni neorinascimentali e con serliane e bifore ai piani superiori. La copertura, in vetro ed acciaio, è opera dell'ingegnere Paolo Boubée. L'ingresso principale, che si apre su Via S. Carlo con una breve gradinata, presenta un'esedra porticata scandita da colonne e massicci pilastri, nonché ornamenti vari (statue, fregi, vittorie, aquile) e, al di sopra delle logge, allegorie che sovrastano la scritta "Anno MDCCCXC Galleria Urnberto I", ripetute su tutti gli ingressi.
I lati della grande struttura architettonica sono articolati in diversi ordini, dei quali sono notevoli il terzo con balconi, lesene e timpani, il quarto con balconi a mensole piane, ed il quinto a piccole finestre intervallate da medaglioni in stucco con amorini.
L'interno ha pianta a crociera ottagonale a braccia disuguali e la pavimentazione in marmi policromi, che presenta una grande circonferenza centrale decorata a mosaici con i segni dello Zodiaco e con al centro la "Bussola" con i punti cardinali, i cui mosaici sono opera della Padoan Mosaici di Venezia.
La struttura è interamente coperta da lunghe vetrate con volte a botte e da una grande cupola centrale. L'elegante trama metallica è raccordata da membrature ornate da angeli in ghisa, stelle e stemmi della città. La galleria ospita da sempre bar e bei negozi ed è stata frequentata soprattutto da personaggi legati agli ambienti e al mondo della musica e dello spettacolo, che ruotava intorno al vicino Teatro Margherita (l'ultimo Café chantant).
Percorriamo ora via Chiaia, sicuramente una delle vie più eleganti di Napoli (ricca di bei negozi), fino a raggiungere il Ponte di Chiaia, del 1626, che collega le colline di Pizzofalcone e quella di Mortella (così detta dagli arbusti di mirto che la ricoprivano). Un ascensore, o delle scale, portano alla sovrastante piazza S. Maria degli Angeli, tra via Nicotera e via Monte di Dio.
Subito dopo, a destra, c'è il Teatro Sannazaro, del 1875, quindi il Palazzo Cellamare. Proseguendo per via Chiaia, la strada si snoda fino allo slargo da cui si dipartono le vie Filangieri, a destra, e la via S. Caterina, di fronte, imboccata la quale si giunge a Piazza dei Martiri, con i bei palazzi Partanna e Calabritto e il Monumento ai caduti. Un tempo tutta questa zona era prospiciente il mare: il termine Chiaia, infatti, significa spiaggia, sia che lo si voglia far derivare dallo spagnolo "Playa" che dal greco "plaga".
Scendendo per via Calabritto, giungiamo o, in piazza Vittoria, abbellita da aiuole alberate e con al centro i monumenti in marmo del patriota e uomo politico Giovanni Nicotera (1828-94) e del sindaco promotore del Risanamento, Nicola Amore (1830-94). Sullo sfondo si vede un'antica colonna proveniente dal Teatro romano di via Anticaglia, sistemata qui nel 1867 e trasformata in un monumento ai Caduti sul mare. Il panorama, quindi, si allarga sul golfo, a destra, con via Caracciolo, Mergellina e la collina di Posillipo, a sinistra, con via Partenope, Castel dell'Ovo e, in lontananza, la Penisola Sorrentina e Capri; in alto, la Certosa di S. Martino e Castel S. Elmo.
Da piazza Vittoria si accede alla Villa Comunale, che costeggia via Caracciolo da un lato e la Riviera di Chiaia dall'altro.
La realizzazione della Villa Comunale comportò una trasformazione del territorio, con la demolizione e l'espropriazione di vari edifici preesistenti (cappelle religiose, lavatoi, Casino degli Invitti, eccetera), suscitando il malcontento di molti cittadini. L'area, che comprendeva anche l'attuale via Caracciolo, era stata ornata, nel 1697, dal viceré duca di Medina, con una doppia fila di alberi e con tredici fontane; il re Ferdinando IV, poi, nel 1778, affidò i lavori di risistemazione di tutta l'area a Carlo Vanvitelli, per farne un ameno luogo di passeggio per la Real Famiglia. Il "Real Passeggio" fu solennemente inaugurato l'11 luglio del 1781, con la Fiera, che, fino all'anno precedente, si teneva nel "Largo di Palazzo" (Piazza del Plebiscito).
Il popolo vi fu ammesso l'8 settembre, ricorrenza della festa della Madonna di Piedigrotta, giornata in cui fu consentito l'accesso anche ai poveri, che durante l'anno non potevano entrarvi.
Inizialmente, la Villa partiva da piazza Vittoria e terminava all'altezza della Cassa Armonica. Il regio giardiniere Felice Abate divise tale spazio in cinque viali rettilinei e paralleli, alberati secondo il gusto francese improntato ad una rigida simmetria.
Il Real Passeggio piacque tanto che fu denominato "Tuglieria", in riferimento, alle Tuilleries francesi.
La Villa, ricca di lecci, platani, tigli, olmi, siliquastri, acacie, palme, ecc., fu ornata con statue e fontane: all'inizio, troviamo quella detta delle "Paparelle", poiché vi furono messe delle anatre con cui giocavano i bambini. Quattro leoni sostengono un'ampia coppa in porfido, portata alla luce dagli scavi di Paestum e proveniente dalla fontana del Duomo di Salerno. La coppa fu collocata lì nel 1825 al posto del Toro Farnese , che fu trasferito nel Museo Nazionale.
Più avanti c'è la Fontana di S. Lucia (1606) di Michelangelo Naccherino e Tommaso Montani, che fu trasferita nella Villa Comunale nel 1898, quando vi fu la trasformazione urbanistica di S. Lucia.
Pur ripetendo il tema architettonico della Fontana del Sebeto e del Gigante, se ne discosta per la particolare ariosità compositiva.
Bilanciata da un ampio arco centrale - tra lesène ornate da elementi marini, che accolgono delfini con una coppa - presenta le pareti laterali decorate da bassorilievi mitologici, lapidi ottocentesche, fiori e frutta. Alcuni delfini segnano una continuità tra le cariatidi del timpano ed i graziosi puttini dello stemma.
La vasca, sobriamente modanata, mostra un'alta ed elegante cornice.
Infine, segnaliamo la Fontana del Ratto d'Europa (1798) di Angelo Viva. Numerose sculture, copie di noti capolavori, abbelliscono la Villa, l'Apollo del Beldevere , Sileno con Bacco bambino , il Gladiatore morente ecc., quasi tutte di Giovanni Violani e di Tommaso Solari. Altre opere significative sistemate lungo i viali e le aiuole della Villa sono: il Ratto di Proserpina , Ercole ed il leone Nemeo , il Ratto delle Sabine (copia del Giambologna).
Nel 1834 l'architetto Stefano Gasse portò a termine l'ultima parte della Villa, prolungandola sino all'attuale piazza della Repubblica e vi aggiunse un galoppatoio che correva lungo il perimetro, nonché altre copie di opere classiche quali tempietti e statue.
Tra i numerosi monumenti celebrativi presenti ricordiamo quello di Gian Battista Vico (1862) e quello di Pietro Colletta (1866); del 1881 è il Monumento a Sigismondo Thalberg , del 1885 quello ad Enrico Alvino; del 1914 sono i busti di G. Carducci, G. Bovio, L. Settembrini, G. Arcoleo, G. Toma, E. Scarfoglio, F. De Sanctis. Nell'adiacente rotonda su via Caracciolo, si trova il monumento equestre ad Armando Diaz, opera di Francesco Magni e Gino Lancellotti, del 1936. Poco oltre un tempietto circolare di Angelo Solari, del 1819, conserva un busto di T. Tasso.
Nella Villa, che dal 1869 fu detta Villa Comunale, si trovano, inoltre, la Casina Pompeiana, la Stazione Zoologica, la Cassa Armonica, il Circolo della Stampa ed il Circolo del Tennis.
La Casina Pompeiana (cosiddetta per lo stile architettonico che la distingue), fu costruita nel 1869 per costituire la sede della Società di Belle Arti. Tutt'oggi assolve a questa funzione, ospitando mostre d'arte e dibattiti culturali.
La Stazione Zoologica con l'Acquario , fu fondata nel 1872 dal naturalista tedesco Antonio Dohrn, allo scopo di approfondire e divulgare la conoscenza della flora e della fauna marina. L'edificio, opera dell'architetto Capocci, si presenta in due ordini. Il primo è a bugne lisce e con varie finestre.
L'ingresso presenta un portale a colonne doriche su cui insistono un balcone con balaustra e finestroni intervallati da colonne ioniche binate. Loggiati coperti a cinque arcate riprendono il motivo laterale. Un marcapiano corre lungo la facciata. Nell'atrio sono una bella fontana e una targa con busto del Dohrn, ombreggiate da un'annosa pianta di glicine.
L'Aquarium, tra i più importanti del mondo e il più antico d'Europa, è corredato da ventisei vasche con un ricchissimo assortimento di animali marini.
Una ricca biblioteca continuamente aggiornata, dedicata alla biologia, è una delle più grandi nel suo genere. La Stazione Zoologica, dotata tra l'altro di un museo marino, è impreziosita dalla Sala degli affreschi realizzati da Anton Von Marées nella seconda metà dell'Ottocento. Gli affreschi rappresentano scene campestri e di pesca, oltre a raffigurare i più importanti scienziati che vi hanno svolto attività: Adolf Hildebrand, Charles Grant, Klaus Kleinenberg.
La Cassa Armonica fu progettata da Enrico Alvino e realizzata, dopo la sua morte, nel 1887.
L'elegante struttura poggia su di un alto podio ed è realizzata interamente in metallo e vetro: rappresenta una delle opere più vistose del Liberty napoletano.
Vi si accede tramite brevi gradinate disposte perpendicolarmente in modo da interrompere la robusta, ma aerea struttura in ghisa conclusa da una copertura a vetri sulle armoniose arcate. Molto belle sono le figure reggitorcia. Destinata ai concerti all'aperto, fu per lungo tempo al centro della vita musicale cittadina ad opera del maestro siciliano Raffaele Caravaglios.
Il Circolo della Stampa , detto anche Casina dei giornalisti, fu costruito nel 1912, su iniziativa di notevoli personalità della cultura cittadina, fra cui Matilde Serao, Edoardo Scarfoglio, Ferdinando Russo, Salvatore Di Giacomo e Roberto Bracco.
Molto importante fu la cerimonia di inaugurazione, a cui parteciparono i poeti Giosuè Carducci e Annie Vivanti. Sempre in attività, costituisce il punto di riferimento per manifestazioni culturali e di giornalismo.
Il Circolo del Tennis (Tennis Club Napoli), che comprende una palazzina e i campi da tennis, fu fondato nel 1906. Svolge ancora oggi la propria attività.
Percorriamo quindi la Riviera di Chiaia, che scorre ampia con bei palazzi seicenteschi (Ravaschieri), settecenteschi (Serracapriola) e neoclassici (Palazzo S. Teodoro, Carafa di Belvedere), fino a raggiungere uno slargo con aiuole, dove, dietro una cancellata, è la villa Pignatelli e, accanto - ad angolo con la via del Rione Sirignano - l'interessante Palazzo della Società Tirrenia di navigazione.
La Villa Pignatelli fu edificata per conto di Ferdinando Acton, (nipote di John Acton), ministro di Ferdinando IV, che ne affidò il progetto a Pietro Valente nel 1826. Prende il nome dai Principi Aragona Pignatelli Cortes, che l'acquistarono a fine secolo. Donata nel 1952 allo Stato, dalla principessa Rosina Pignatelli, è oggi sede del Museo Principe Diego Aragona Pignatelli Cortes.
Secondo la moda corrente del tempo, l'edificio doveva essere edificato in forme greco romane, circondato dal verde.
Dopo aver steso numerosi progetti, il Valente giunse a quello definitivo, che continuò a cambiare anche durante la costruzione.
L'aspetto attuale è ispirato alla casa pompeiana, con l'atrio proiettato all'esterno, a doppio porticato con colonne doriche fra le ali laterali. Ma il concetto di tramite fra gli ambienti interni e il parco, venne meno quando l'atrio fu munito di copertura in ferro e vetro.
Il doppio accesso alla Villa presenta due padiglioni con portale ad arco e stemma dei Pignatelli, uniti da una bella cancellata su base di piperno.
Un bel giardino, forse opera del Bechi, di impianto paesistico romantico, con sentieri tortuosi, aiuole dall'incerto disegno e una semplice fontana, fa da proscenio alla facciata neoclassica, articolata nell'ordine dorico del porticato e nello ionico del piano superiore concluso da un timpano. Fra le piante del parco ci sono interessanti aracaurie, palme, strelizie e una splendida collezione di camelie.
L'interno della Villa propone arredi di notevole interesse, ceramiche di Sassonia, orologi del '700 francese, porcellane di Vienna, Capodimonte, Venezia, Sévres, di manifattura inglese e biscuit di Napoli.
C'è poi una notevole collezione di carrozze fine '800 - inizi '900, donata dal marchese di Civitanova e sistemata in una dépendence della Villa.
Attua lmente, Villa Pignatelli viene utilizzata per ospitare interessanti mostre dedicate ai maggiori artisti, a periodi dell'arte in generale e al recupero dei beni ambientali.
La Società Tirrenia di Navigazione dà, oggi, il nome al Palazzo Siracusa (poi Caravita di Sirignano), la cui parte più antica risale al XVI secolo.
L'aspetto attuale del fabbricato è quello di un castello, caratterizzato dai corpi laterali aggettanti, simili a torrioni, e dalla massiccia base a bugnato.
Articolato in tre ordini, presenta al primo balconi con balaustre, archeggiatura decorata a stucchi con elegante timpano triangolare al secondo, e finestre al terzo.
Proseguendo per la Riviera di Chiaia, passiamo davanti alla Chiesa di S. Giuseppe a Chiaia, e, alla fine della strada e della Villa Comunale, ci troviamo in piazza della Repubblica, che ha al centro il Monumento allo Scugnizzo. Mentre all'esterno continua la via Caracciolo, di fronte si apre viale Gramsci, una bella strada ampia ed alberata con vialetti laterali, mentre più a destra, nel Largo Torretta, la Riviera di Chiaia si biforca in via Mergellina (sede di un bel mercatino rionale, noto come mercatino della Torretta perché, nel 1514, vi fu eretta una torre di avvistamento, poi in seguito abbattuta) e via Piedigrotta. Noi percorriamo il viale Gramsci, fiancheggiato da bei palazzi che ospitano diversi consolati ed ambasciate di Paesi stranieri (il primo a sinistra è il Consolato U.S.A.), per giungere in piazza Sannazaro. Al centro della piazza vi è una fontana circondata da aiuole e con una Sirena su scogli tra delfini e cavalli marini; in fondo si apre, tra due palazzi, il grande arco dell'ingresso della Galleria della Laziale, scavata nel 1925 sotto la collina di Posillipo per i collegamenti col quartiere di Fuorigrotta.
In questa piazza vi sono ristoranti e numerose pizzerie, di cui alcune antiche.
Prendiamo la Salita Piedigrotta, alla cui sommità è la piazza Piedigrotta (dove troviamo a destra l'antico cinema teatro Odeon, ormai chiuso da tempo, a sinistra la Chiesa di S. Maria di Piedigrotta, e, più avanti, l'ingresso al Parco Virgiliano, sistemato nel 1930 per il bimillenario della nascita del Sommo Poeta). Accanto è l'ingresso della Galleria delle Quattro Giornate, parallela alla Laziale. La Stazione delle FF.SS. e della Metropolitana di Mergellina è all'inizio del panoramico corso Vittorio Ernanuele, che, partendo da qui, sviluppa il suo percorso lungo le pendici della collina del Vomero sino alla piazza Mazzini.
Nei pressi della Stazione è da notare il Villino Adriana.
Situaa in un interessante contesto archeologico (Parco Virgiliano) e architettonico (stazione di Mergellina e palazzi circostanti), la Chiesa di S. Maria di Piedigrotta è molto cara al popolo napoletano.
E' stata costruita ai "piedi della grotta" per volere della Vergine, apparsa ad un monaco benedettino, ad una suora (Maria di Durazzo) e a Pietro l'Eremita.
Sul luogo vi era già, dal 1200, una chiesetta dedicata alla Vergine, trasformata poi, nel 1353, in una struttura più grande, in seguito alle voci che narravano di portentose apparizioni della Madonna. Nel 1452 fu interamente ricostruita da Alfonso d'Aragona, e l'ingresso, prima rivolto alla grotta, fu cambiato secondo l'orientamento attuale.
Soggetta a vari interventi di rifacimento per volere di Ferdinando I e di Ferdinando II di Borbone, la chiesa, nel corso dell'800, ha cambiato aspetto. La facciata del 1853, opera di Enrico Alvino, e il campanile, completamente rifatto nel 1937, rendono difficile riferire questa chiesa ad un particolare stile architettonico. Nell'interno del tempio si conservano opere di Fabrizio Santafede ( Madonna di Piedigrotta ), il monumento funebre a G. Filangieri di Nicola Renda ed una bella Pietà di Bernardino Lama.
Il Parco Virgiliano fu sistemato nel 1930, in occasione del bimillenario della nascita del poeta Virgilio Marone, a cui è dedicato.
Nello stesso Parco hanno trovato sepoltura le spoglie di Giacomo Leopardi, morto a Napoli nel 1837 in un palazzo nei pressi di via S. Teresa degli Scalzi, dove è anche una lapide commemorativa.
Antonio Ranieri, di cui Leopardi era ospite, ottenne di tumularlo nella Chiesa di S. Vitale a Fuorigrotta, evitando così che i suoi resti fossero gettati in una fossa comune (come era stato decretato in quei giorni a causa dell'epidemia colerica). Successivamente, ciò che restava della salma fu sistemato all'interno dell'area, che fu poi chiamata Parco Virgiliano. Appena all'ingresso, si è subito immersi nel bel verde ricco di varie essenze, fra cui spiccano allori, cipressi, pini, nespoli, siepi sempre verdi e rampicanti da fiore.
Un'alta parete monumentale in piperno, con piccolo frontone, reca due lapidi commemorative. Di lato è un busto marmoreo di Virgilio. 
Dopo una comoda rampa, c'è una maestosa ara dedicata a Giacomo Leopardi, ornata da una cornice con fogliame e volute. Di fianco è la tomba del poeta.
Da una piazzola si notano gli inaccessibili ingressi della galleria (la Crypta neapolitana, lunga 700 metri, larga 3,20 metri ed alta dai 2,80 ai 5,60 metri, che si trova all'incirca sulla attuale Galleria delle Quattro Giornate), scavata nel tufo nel I secolo d.C. e che facilitava le comunicazioni con la zona flegrea.
Una stretta rampa con avanzi di acquedotto romano conduce ad un Colombario (di età augustea) - a base quadrata, con camera sepolcrale e tamburo cilindrico - ritenuto la Tomba di Virgilio.
La Stazione di Mergellina , fu realizzata nel 1925 da Gaetano Costa e fonde ferro e vetro in uno stile Beaux Arts. Questa interessante architettura, unica in tutta la città, costituisce un esempio significativo della partecipazione della cultura locale all'evoluzione della ricerca artistica del proprio tempo.
Il prospetto, riccamente ornato, presenta tre ingressi, a pilastri e finestre con timpano triangolare e massicce colonne, sormontati da una grande lunetta decorata con fregi e conchiglie che si raccorda all'alto marcapiano da cui partono pilastri a doppie lesene composite. Una conchiglia con tralci vegetali orna la base della cornice sormontata da un ricco stemma fra ornamenti di fogliame a cornucopia. Lo stemma a destra reca la lupa capitolina, quello a sinistra il cavallo.
Di notevole effetto è il corpo centrale, prominente con balcone balaustrato e finestre scandite da colonne composite binate. Il cornicione, molto aggettante, sostenuto da mensole e decorazioni con teste di Mercurio e di leone alternate, regge un bell'orologio colorato in ricca cornice a stucco, tenuto da un'aquila e fiancheggiato da due figure di Mercurio in riposo. La grande lunetta centrale ha una ricca ornamentazione nella chiave dell'arco, con figura alata. La bella pensilina, retta da mensole in ghisa, è realizzata in legno, metallo e vetro. Il vasto atrio, con due ampi saloni, presenta su alte basi di marmo, lesène a stucco con capitello composito. La grande volta curva è decorata da girali e vetrate. Nelle nicchie vuote vi erano delle statue.
Dalla Stazione di Mergellina si può raggiungere il quartiere Vomero, per visitare la Villa Floridiana e il Museo della Ceramica, o percorrendo in macchina il corso Vittorio Emanuele, oppure prendere la Metropolitana fino a piazza Amedeo, da dove parte la Funicolare di Chiaia che conduce in via Cimarosa, dove si trova l'ingresso alla Villa.
Sulla collina del Vomero, che è situata tra le colline di Posillipo e dei Camaldoli, anticamente vi era soltanto un casale, in mezzo alla campagna. L'espansione urbanistica in grande stile cominciò dal 1884 - anno in cui si approntò un piano di ampliamento della città (Risanamento) - e si è protratta sino ai nostri giorni, trasformando la verde collina del Vomero in un conglomerato convulso di abitazioni, quasi accavallate l'una sull'altra. Per poter meglio sfruttare le aree, si sono poi persino abbattute le prime abitazioni (villette in stile Liberty dell'inizio del secolo). Oggi è un quartiere residenziale e commerciale medio-alto borghese, anche se sono presenti abitazioni e strade popolari. E' collegato alla parte bassa della città con tre funicolari: quella Centrale che porta a via Toledo, quella di Chiaia che scende a piazza Amedeo (entrambe in via Cimarosa) e quella di Montesanto all'estremità di via Scarlatti. Alcune belle piazze sono: piazza Vanvitelli, con la Stazione della metropolitana collinare, e, circondata da eleganti palazzi piazza Medaglie d'Oro, piazza degli Artisti, piazza Bernini e piazza Quattro Giornate, con lo Stadio del Vomero. Belle strade sono: via Scarlatti, via Cimarosa, via Luca Giordano, viale Michelangelo, via Girolamo Santacroce e le nuove via Cilea e Corso Europa (che si congiunge con via Manzoni).
L' aspetto del Vomero (come quello delle altre colline napoletane, Posillipo, Camaldoli, Capodimonte) dimostra la violenza dell'aggressione effettuata al territorio soprattutto negli ultimi decenni.
La Villa Fioridiana fu acquistata da Ferdinando I di Borbone, nel 1816, dal Principe Torella Giuseppe Caracciolo, per farne dono alla moglie morganatica Lucia Migliaccio Partanna, duchessa di Fioridia (da cui la Villa prende il nome).
L'architetto Antonio Niccolini ebbe l'incarico di ristrutturare la vecchia costruzione e, fra il 1817 ed il 1819, realizzò la Villa in stile neoclassico e l'ampio Parco di stile romantico, che trovò nella scoscesa natura del terreno l'ambiente ideale per una realizzazione rispondente alle esigenze culturali del tempo. Viali e sentieri tortuosi furono sistemati a verde dal direttore dell'Orto Botanico Friedrich Denhart, che ornò il Parco con 150 specie di piante, privilegiando il leccio, il pino, il platano, la palma e il bosso, e aggiungendovi una ricca collezione di camelie (fiore molto di moda nell'Ottocento).
Il prospetto, dal lato mare della Villa, domina il Parco digradante verso il golfo con ampie terrazze panoramiche. Un grazioso tempietto a pianta centrale, di stile ionico, spicca nel verde delle varie essenze. Oltre a numerose statue, il Parco comprendeva il "Teatrino della Verzura", caratterizzato da siepi sempre verdi.
Un'ampia scala marmorea a tenaglia conduce all'ingresso della Villa, articolata su alta base, in tre ordini principali con balconi e mensole. Al primo ordine è l'atrio tripartito sovrastato da un ampio ed alto balcone centrale a lesène ioniche e, quindi, da un alto fregio, che divide il terzo ordine di altezza ridotta. I balconi laterali recano mensole ornate dalla voluta ionica. Una balaustra, con ampio fregio centrale, conclude la costruzione. Attualmente la Floridiana costituisce un superbo Parco ed ospita anche il Museo di arti decorative, uno dei più importanti per le collezioni della seconda metà dell'Ottocento, raccolte da Placido De Sangro (duca di Martina), donate alla città nel 1911 e passate, infine, allo Stato. Le famose porcellane qui presenti provengono dalla manifattura sassone di Meissen, da quella borbonica di Capodimonte e di Napoli e da quella dei marchese Ginori a Doccia. Si annoverano, inoltre, porcellane francesi a pasta tenera (Chantilly, Rouen, Sint Claud), di Sévres e Limoges.
Preziose maioliche decorate "a lustro" provengono dalle manifatture di Manises. Notevoli le maioliche rinascimentali di Deruta, Gubbio, Faenza e quelle seicentesche di Castelli d'Abruzzo. Le collezioni del Duca di Martina comprendono anche vetri veneziani, porcellane cinesi e giapponesi, giade, smalti, eccetera. Tabacchiere, serrature, chiavi, avori, oggetti sacri e mobili pregiati completano l'esposizione.
Lungo le pareti delle numerose sale sono opere di pittura di grande interesse di Marco Pino, D. A. Vaccaro, Del Po, De Mura, Solimena, Bardellino, Cestaro, N. M. Rossi, Falciatore, Bonito, Giaquinto, Conca, G. Diano.
Abbiamo terminato quello che probabilmente è da considerare l'itinerario più bello, dal punto di vista degli spettacoli naturali. Il lungomare, il Corso Vittorio Emanuele, il Vomero sono tappe obbligate per i turisti, alla cui vista sono offerti scorci panoramici bellissimi, chiazze di verde all'improvviso dirompenti tra le mura di ville e palazzi signorili, giardini pensili abbarbicati su attici e terrazzi, balconate fiorite di bouganville e coperte di rampicanti e palme, e pini marittimi a contendersi lembi di terra. Abbiamo percorso zone della Napoli "bene", ma occorre precisare che a Napoli non esiste forse nessun quartiere che si possa definire completamente o "borghese" o "aristocratico" o solo "dei ricchi": basta girare, infatti, un angolo o passare da una strada principale ad una secondaria, per ritrovarsi di nuovo immersi in una realtà molto diversa: quella dei "bassi", delle abitazioni popolari, delle botteghe artigiane e dei venditori ambulanti. L'invito, ancora una volta, è quello di riuscire a cogliere “l'insieme” di questa città, il suo essere contraddittorio e molteplice che costituisce la sua identità.