L'Anfiteatro Flavio

La costruzione dell' Anfiteatro Flavio ebbe inizio nei primi anni del regno di Vespasiano, nella valle compresa tra Palatino, Esquilino e Celio, che in precedenza aveva costituito il centro della Domus Aurea. L'edificio sorse sul luogo dello stagno artificiale, opera di Nerone: anche in questo caso, emerge la politica demagogica di vespasiano, che restituisce al pubblico godimento le parti della città incluse da Nerone nella sua casa gigantesca (lo stesso avverrà con le Terme di Tito, che rimpiazzeranno forse quelle private della Domus Aurea, e con le statue, sottratte all'abitazione di Nerone ed esposte nel tempio della Pace). Il Colosseo, non ancora terminato, fu dedicato una prima volta da Vespasiano prima della morte. Tito portò a termine i lavori e procedette a una seconda grandiosa cerimonia dedicatoria nell'80, che durò cento giorni; l'opera fu rifinita da Domiziano, che condusse i lavori "fino agli scudi" che decoravano l'ultimo ordine esterno. E' probabile che solo sotto questo imperatore si siano creati i sotterranei in muratura dell'arena, altrimenti mal si comprenderebbe la notizia di naumachie (battaglie navali) date sotto Vespasiano e  Domiziano; da allora infatti si parlò solo di giochi di gladiatori (munera) e cacce di animali (venationes).


Una ricostruzione dell'Anfiteatro Flavio alla Mostra augustea della
Romanità, tenutasi al Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale.

L'altezza dell'anello esterno è quasi di 50 m, il diametro maggiore dell'ellissi misura 188 m, il minore 156. Si è calcolato che il travertino impiegato oltrepassasse i 100.000 m³ e il ferro necessario per le grappe le trecento tonnellate. L'anello esterno comprende quattro piani sovrapposti: i primi tre costituiti da arcate inquadrate da semi colonne, tuscaniche quelle del primo piano, ioniche quelle del secondo, corinzie quelle del terzo. Un quarto piano cieco (una sorta di attico) è scompartito da lesene, anch'esse corinzie. Ogni due scomparti si apre una finestra quadrata; una serie di mensole (tre per partizione) sono inserite a due terzi della altezza , in corrispondenza di altrettanti fori nel cornicione (in tutto 240) : qui passavano i pali che servivano a sorreggare il grande velario a spicchi, destinato a riparare gli spettatori dal sole. Una squadra di marinai del porto militare di Miseno era addetta a manovrare il velario: essi avevano stanza in un'apposita caserma, nelle immediate vicinanze dell' anfiteatro (Castra Misenatium). Le arcate a pianterreno, 80 in tutto, davano accesso alle scalinate che portavano ai vari settori della cavea: un sistema complesso, simile a quello degli stadi moderni, che permetteva la rapida evacuazione degli spettatori. Sopra ognuno degli archi superstiti è ancora indicato il numero progressivo, che corrispondeva al numero di biglietto (tessera) di cui ogni spettatore era munito. I quattro ingressi posti in corrispondenza degli assi principali non avevano numero. L'unico di essi ancora conservato, quello settentrionale, mostra tracce evidenti di un portichetto, che lo doveva caratterizzare in modo particolare. Inoltre, sulla volta del corridoio corrispondente si notano ancora notevoli resti di stucchi figurati. era proprio questo l'ingresso d'onore che portava alla tribuna imperiale, collocata al centro del lato nord. Gli altri tre ingressi dovevano avere la stessa funzione per categorie privilegiate come i magistrati, le vestali. Quello che resta della cinta esterna è sostenuto da altissimi muraglioni costruiti nel 1820 per ordine di Pio VII. I numerosi fori tra i giunti dei blocchi furono praticati nel Medioevo per recuperare i perni di ferro. Quasi cinquant'anni fa si stabilì il sistema utilizzato per la costruzione. La presenza del bacino neroniano, una volta svuotato dall'acqua, permise di ridurre i lavori di scavo per le fondamenta. I muri radiali costruiti i blocchi di tufo al pianterreno, in mattoni al primo piano, non sono coerenti con i pilastri di travertino; ciò induce a pensare che essi siano di costruzione postweriore a quella dei pilastri. Si procedette dunque ad innalzare la gabbia portante. Fu così possibile operare contemporaneamente in basso e in alto. A causa delle diversità tecniche si può stabilire che lavorarono quattro cantieri diversi.


L'interno della cavea vista da un anello superiore.

L'interno del Colosseo, semicrollato e spogliato delle gradinate, può dare solo una  pallida idea dell'aspetto originario; a ciò contribuisce la mancanza del piano dell'arena, che mette allo scoperto i sotterranei di servizio.Questi sotterranei avevano la funzione di ospitare tutti quei servizi che erano indispensabili per lo svolgimento dei giochi. All'interno dell'anfiteatro sono visibili grandiosi piani inclinati in blocchi di tufo, destinati a far emergere qualsiasi tipo di scenario: gli scrittori contemporanei ricordano con ammirazione l'improvvisa apparizione di colline e foreste. L'arena era coperta da un grande tavolato ligneo; ciò spiega la violenza  del fuoco nel 217, quando l'incendio ebbe inizio proprio da lì. Tra essa e il corridoio veniva fissata al momento degli spettacoli, una pesante e robustissima rete di protezione sostenuta da antenne; queste erano incastrate tra due mensole, collocate più in basso. In alto, la rete, che ci è descritta da uno scrittore antico, era dotata di denti di elefanti, a mo' di spunzoni, e di rulli di avorio ruotanti orizzontalmente, che impedivano la presa alle fiere che avessero tentato di scavalcarla. per ogni evenienza, comunque, nel corridoio che correva tra la cavea e la rete doveva essere in permanenza una squadra di arcieri, che prendevano posto forse all' interno delle nicchie aperte nel podio.

 


Altro particolare della cavea.

La cavea era divisa in cinque settori sovrapposti: dopo un gruppo di pochi gradini, immediatamente successivi alla recinzione, seguivano tre settori (maeniana), mentre un quarto, con gradinate di legno, era colooccato alla sommità dell' anfiteatro, al di sotto di un colonnato (maenianum summum in ligneis). Anche allora, come adesso, esistevano varie categorie di posti. Per accedervi non vi era alcuna differenza nella somma pagata: infatti l'ingresso era gratuito. Qui emerge chiaramente la struttura rigorosamente classista della società romana: ogni categoria della popolazione poteva accedere solo ai posti ad essa riservati. Leggi inproposito erano state promulgate fin dall' età repubblicana. In particolare, i posti più vicini all' arena erano riservati alla classe senatoria; i quattordici gradini successivi (il primo meniano, quindi) ai cavalieri, e poi via via scendendo nelle gerarchie sociali. Un settore di posti nel maenianum summum , quello di legno, considerato il peggiore, era destinato alle donne, da quando il Divo Augusto, per ragioni morali aveva considerato opportuno porre termine alla promiscuità nei luoghi di spettacolo (i quali, come ricorda Ovidio nell' Arte Amatoria, erano particolarmente indicati per fare qualche piacevole conoscenza). Un documento prezioso, a questo riguardo, è costituito dai gradini superstiti: su di essi sono incise iscrizioni che precisano la destinazione dei posti. Ad esempio: equitibus romanis (per i cavalieri romani), pedagogis puerorum (per i maestri elementari), hospitibus publicis (per gli ospiti pubblici), clientibus (per i clientes, cioè, in età imperiale la plebe cittadina), Gaditanorum (degli abitanti di Cadice) ecc. Come si vede si tratta sempre di posti non individulai, ma destinati ad intere categorie di persone. Ciò risulta tra l'altro da una celebre iscrizione, databile alol'anno stesso (l'80) in cui fu inaugurato l'anfiteatro, e nella quale si riporta un  decreto con cui si concedono alla corporazione sacerdotale degli Arvali (12 persone in tutto) un discreto numero di posti (per una lunghezza di 129 piedi circa, cioè più di 38 metri) per gli Arvali stessi, le loro famiglie, i loro araldi, ecc.; ben inteso, in vari punti dell'anfiteatro, a seconda del rango sociale. L'unica eccezione a questa regola è costituita proprio dalle gradinate riservate all' ordine senatorio, che erano costruite interamente di marmo (e non di mattoni, con la sola inserzione del blocco marmoreo per l'iscrizione, come nel resto della cavea). In effetti, su questi gradini sono incisi i singoli nomi, che furono sostituiti più volte e mostrano quindi cancellature e rifacimenti. I nomi che ci sono rimastri sono quindi quelli più recenti; uno studio recente di queste iscrizioni ci ha permesso di conscere il nome di 195 senatori dell'epoca di Odoacre.


L'anfiteatro Flavio visto dall'ingresso della Domus Aurea

L'edificio, colpito da incendi e terremoti, fu restaurato varie volte; ci risultano lavori di Nerva, di Antonino Pio, di Elagabalo, di Alessandro Severo e forse di Gordiano. Questi disastri si intrecciano con varie limitazioni agli spettacoli, dovute all'intervento degli imperatori cristiani: all'inizio del V secolo, Onorio abolisce i giochi gladiatori. Ristabiliti all'inizio del regno di Valentiniano III, essi furono definitivamente proibiti dallo stesso imperatore nel 438. Rimasero solo le venationes, che però dovevano subire la concorrenza delle corse dei carri nel circo. L'uso dell'anfiteatro cessò con il regno di Teodorico; l'ultimo spettacolo di cui abbiamo notizia ci è ricordato da una lettera di Teodorico al console designato per il 523, Massimo, il quale chiedeva di poter festeggiare l' assunzione della carica con una venatio. Dal VI all'XI secolo, quando sarà occupato dalla famiglia Frangipane, che ne farà un castello, sulle gradinate deserte e nell'arena vuota del Colosseo scenderà il silenzio. Accanto al Colosseo, tra questo e la via dei Fori Imperiali, è visibile sulla pavimentazione stradale il disegno di un grande quadrato, ottenuto con pietre di colore diverso. Qui era la base della statua bronzea colossale di Nerone, i cui resti furono vandalicamente demoliti per l'apertura della via dei Fori Imperiali, nel 1936. Questa statua fu eseguita su modello del Colosso di Rodi; ma quello di Roma superava i 35 metri al contrario di quello di Rodi che raggiungeva solo i 32. La statua, un ritratto di Nerone identificato con Helios, era in origine al centro dell'atrio della Domus Aurea, nel luogo dove più tardi Adriano fece costruire il tempio di Venere. Alla  fine del regno di Nerone, per damnatio memoriae, alla  statua furono cambiati i tratti, in modo da trasformarla in una statua di Helios. Più terdi Commodo ne farà un Ercole dandole ancora i propri tratti: ma dopo la sua morte di nuovo la statua recuperò la sembianze di Helios. Il nome di "Colosseo", attribuito all'anfiteatro per la èprima volta nell'VIII secolo, deriva non dalle proporzioni di questo, bensì dalla vicinanza della statua colossale.